Il centro storico di Ragusa - Tra continuità e innovazione
Ultima modifica 11 marzo 2018
All'indomani del terribile terremoto del 1693, dopo aver dato degna sepoltura ai morti, recuperato dalle macerie ciò che si poteva ancora recuperare e fatto il conto degli ingenti danni, i cittadini di Ragusa, dovettero decidere in merito alla ricostruzione della città. La storiografia locale riporta che, in quei giorni, si tenne una sorta di Consiglio dei cittadini in cui vennero esaminate tre proposte: la prima prevedeva la ricostruzione delle case nello stesso sito della città distrutta, la seconda prevedeva lo spostamento dell'abitato nella contrada "del Patro", una spianata a poca distanza dall'antico centro, leggermente inclinata e delimitata da due stretti valloni,e la terza infine, prevedeva lo spostamento della città, verso il mare, nella contrada di Cutalia.
Scartata subito quest'ultima, in quanto il sito era considerato troppo lontano, si discusse a lungo, attorno alle altre due ipotesi, senza tuttavia, giungere ad un accordo. Una parte dei cittadini, guidata dal ceto nobiliare, conservatore e legato alla tradizione, decise a ricostruire le proprie case nell'antico sito, mentre un'altra parte, guidata dal ceto borghese ed imprenditoriale, più ardimentoso e proiettato verso lo sviluppo della città, decise di costruirle nel nuovo sito "del Patro".
Il racconto tradizionale, a dire il vero non supportato da alcun riferimento documentario, se da un lato potrebbe essere verosimile, dato che tali assemblee popolari si tennero effettivamente in altri centri, come Giarratana, Avola e la stessa Noto, dall'altro non risulta convincente, a mio parere, per le motivazioni che avrebbero giustificato la decisione di costruire due centri abitati a poca distanza l'uno dall'altro, caso unico in tutto il vasto comprensorio del Val di Noto.
Una più attenta lettura della situazione sociale della città prima dell'evento sismico, alla luce delle recenti ricerche documentarie, ci mostra che dietro la singolare scelta non ci fù il contrasto tra una nobiltà di stampo feudale, attaccata ai propri privilegi, ed i nuovi ceti imprenditoriali agricoli, i cosiddetti "massari", quasi una borghesia ante litteram, aperta alla novità e fonte di progresso, come ci ha voluto tramandare la storiografia locale, ma ci fu il contrasto tra gruppi di famiglie che da circa un secolo si contendevano la leadership cittadina. Infatti, a partire dalla fine del secolo XVI e poi per tutto il secolo XVII, scomparse o ridimensionate le antiche famiglie di origine feudale normanna o catalana, erano emersi nuovi gruppi familiari che avevano accumulato ingenti patrimoni, grazie all'istituto dell'enfiteusi delle terre del Conte di Modica, e che erano in lotta tra loro per il potere.
Ad agitare le acque, contribuiva il contrasto di preminenze tra le due chiese principali, S. Giorgio, la matrice della città, e S. Giovanni Battista, che vantava anch'essa antichi diritti matriciali. Visto lo stretto legame tra amministrazione civile ed ecclesiastica che vigeva in Sicilia a quel tempo, le preminenze religiose assumevano un elevato valore sociale e potevano essere facilmente strumentalizzate al servizio degli interessi dei gruppi in lotta per il potere cittadino. Ecco che le famiglie costituivano due partiti: i "Georgesi" o "Sangiorgiari" e i "Giovanniti" o "Sangiovannari", che si professavano "affezionati" dell'una o dell'altra chiesa, difendendone gli interessi, veri o presunti, conculcati dalla parte avversa.
Accresceva i problemi il fatto che le due chiese, pur essendo entrambe parrocchie, fin dal 1389, per iniziativa del Vescovo di Siracusa, Tommaso Erbes, erano state unite "aeque principaliter" nella persona di un unico parroco il quale, normalmente, risiedeva nella chiesa madre di San Giorgio per cui veniva accusato dagli amministratori della chiesa di S. Giovanni di lederne i diritti.
Negli anni precedenti al terremoto, il partito "Sangiovannaro" i cui membri avevano avuto un ruolo rilevante nel primo trentennio del secolo XVII, si trovava in una fase discendente ed aveva subito alcune pesanti sconfitte come la breve separazione dalla chiesa S.Giorgio, concessa dalla Santa Sede con la nomina del parroco Ascenzio Gurrieri, ma subito annullata per la decisa opposizione del parroco di S. Giorgio, Giambattista Bernardetto, che non voleva rinunciare a reggere insieme le due parrocchie, e che alcuni anni dopo impose che nella intestazione dei documenti della parrocchia di S. Giovanni si aggiungesse il titolo "subjective" cioè sottomessa alla chiesa madre di S. Giorgio.
In questo stato di cose, il terremoto e la successiva ricostruzione vennero visti dai "Sangiovannari", come una occasione per conquistare la propria autonomia e poter gestire a modo loro lo spazio urbano e quello economico.
Per questo motivo, pochi giorni dopo il terremoto, trasferirono la sede parrocchiale in una baracca di tavole di legno costruita al centro del "piano del Patro", su un terreno di proprietà dell'Opera pia della "Messa dell'Alba ", antica e ricca opera assistenziale che alla stessa chiesa faceva capo. La determinazione della scelta, che non ammetteva alcun ripensamento è testimoniata dal trasferimento immediato nella nuova sede di tutti gli arredi che si poterono recuperare dalle macerie della chiesa antica, compresa la cinquecentesca statua in pietra di S. Giovanni, al centro della devozione popolare e punto di riferimento per i parrocchiani.
Attorno alla chiesa, sempre nei terreni della "Messa dell'Alba" e di altre Opere pie come la "Cassa dell'Elemosina", che aveva sede nella chiesa di S. Maria delle Scale, si trasferirono, numerosi parrocchiani che vi costruirono baracche di legno e case in "petra a sicco".
I testi e le immagini sono state estratte dal libro: "I Monumenti del Tardo Barocco di Ragusa"
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