Donnafugata: masseria fortificata, casina neoclassica, castello neogotico, riflessioni su una mutazione
Ultima modifica 10 marzo 2018
Nonostante le pubblicazioni e le guide sul castello di Donafugata siano oramai molteplici, numerosi quesiti rimangono ancora irrisolti. Sono stati già evidenziati fattori condizionanti la nascita e lo sviluppo del complesso, come il ruolo delle preesistenze o la colta attività dei proprietari committenti, ma sinora non si conoscono con precisione le date di edificazione delle fabbriche, nè i nomi di eventuali architetti coinvolti. E' strano che nessun documento significativo, almeno per quanto a conoscenza di chi scrive, sia emerso e reso pubblico su una costruzione notevole (anche solo per le dimensioni). Vediamo tuttavia di tentare una analisi più dettagliata delle limitate fonti certe per dare un senso alla storia di una costruzione che nel complesso e diversificato panorama dell'Eclittismo europeo a cavallo tra le due metà dell'Ottocento, si pone come caso degno di nota al di là dei limiti geografici in cui è circoscritto.
Il binomio castello-giardino è innanzitutto un fenomeno ottocentesco cosi' diffuso da costituire un "caso" storico. Si pensi al fatto che esempi di "castelletti neogotici" dotati di giardini intra moenia sorgono per lo più nello stesso periodo in differenti parti della Sicilia: da Donnafugata a Rampinzeri, da Falconara a Riesi, i casi più noti. A Palermo, l'ambiente più colto ed esterofilo già dagli ultimi decenni del XVIII secolo aveva avviato la lunga stagione del revival neogotico che avrebbe visto le ultime propaggini estinguersi solo in pieno Novecento. Nel contempo molti esponenti della nobiltà si dedicavano nei propri parchi alle sperimentazioni botaniche ed agrarie. Sono state individuate due priorità nell'ambiente architettonico palermitano che avrebbe visto la fioritura dei "neostili": la presenza alla fine degli anni ottanta del Settecento del "neocinese", non più come mero fenomeno di moda decorativa, e la presenza del "neomedioevo" negli anni venti dell'Ottocento. Entrambi fenomeni da ricondurre all'incidenza della figura di Giuseppe Venazio Marvuglia, personaggio in grado di parlare ogni lingua architettonica e dalle frequentazioni internazionali.
Persino per Massimiliano d'Asburgo e il suo castello-parco di Miramar presso Trieste (peraltro contemporaneo al nostro, se si pensa che l'acquisto dei terreni ebbe inizio nel 1856) i modelli di riferimento furono proprio i giardini palermitani: l'Orto Botanico, Villa Giulia, l'Olivuzza, La Favorita.
La storia di Donnafugata è soprattutto una storia dell'Ottocento.
In questo secolo si verificano radicali trasformazioni e certamente si susseguono o si accavallano più ipotesi progettuali . Quanto è giunto sino a noi sembra essere il frutto problematico di un cantiere che attraversa quasi un secolo e che presenta non pochi elementi contraddittori.
Ma come era Donnafugata al momento in cui gli aristocratici Arezzo decisero di mutarlo in residenza di campagna.
Si trattava quasi certamente di un modesto baglio (come ne esistono tanti in area iblea) che conteneva al suo interno una struttura più antica, una torre. Non si possiedono elementi certi sulla cronologia di queste ipotetiche fabbriche, se non l'anno in cui Vincenzo Arezzo fu investito con privilegio del 25 febbraio 1648 del titolo di primo Barone di Donnafugata.
La data di fondazione dell'insediamento o quella in cui la fabbrica abbia acquistato la consistenza di masseria fortificata (XVIII secolo probabilmente) è, comunque, di relativa importanza, perchè certamente costituitasi in più riprese e per successive aggregazioni come è usuale che avvenga nelle architetture di questo tipo, le cui componenti sorgono, si aggregano e si trasformano in funzione della loro destinazione utilitaristica.
E' noto, infatti, che sin dall'inizio del XV secolo il paesaggio insulare, a causa delle incursioni piratesche, appariva costellato di "torri", poste a difesa delle comunità rurali, di punti strategici per l'approvvigionamento dell'acqua o di particolari impianti di coltivazione. Va notato che spesso queste torri erano accolte all'interno di un recinto. Cosi' come avviene a Donnafugata dove la cosiddetta "Torre Bianca" è preesistente a tutto il resto dell'insediamento che nel tempo le si è sviluppato intorno. Si può affermare quindi che la fortificazione diveniva matrice strumentale delle masserie.
La corte è il risultato di questo processo di accorpamento delle unità edilizie rurali intorno alla struttura difensiva, la torre prima, la casa padronale nel complesso poi.
In virtù del fatto che "l'involucro dei muri di cinta tende a diventare un magnete", i bagli e le masserie divennero strutture protettive capaci di preservare gli abitanti dalle incursioni, determinando la formazione di un tracciato, che se pur irregolarmente, si chiudeva ad anello intorno alla casa padronale.
Si delineano sin da queste prime forme di insediamento extraurbano quei caratteri di chiusura e di autonomia che sarebbero persistiti anche nelle forme auliche della "villeggiatura".
Questa conformazione "tradizionale" ebbe un ruolo non secondario al momento in cui si decise di attuare la costruzione di un "castello" neogotico.
In relazione ai rinnovati interessi agricoli della aristocrazia ragusana e alle sempre più pressanti esigenze alla moda, quali la villeggiatura, Francesco Arezzo dovette concepire o affidare ad un architetto a noi non noto la costruzione di una "casina" che occupava la parte terminale del primo cortile. Questa fase è testimoniata dalle sale dipinte e dagli stessi affreschi conservati nella costruzione.
Già da un'attenta lettura del complesso architettonico si evince che il primo nucleo adibito per abitazione con scopi di villeggiatura corrisponde nelle parti principali all'enfilade costituita dalla Sala della Musica, dal Salotto delle Signore e dal Salotto dei Fumatori, adiacenti alla preesistente "Torre di Bianca". Ed è proprio in una di queste stanze, la Sala della Musica, che si conservano due fondamentali vedute dell'insediamento. La prima immagine ritrae lo stato di fatto del nucleo originario costituito da corpi di fabbrica articolati secondo la tipologia del baglio, verosimilmente eseguita quando se ne decise la trasformazione in casina neoclassica. La seconda veduta si ritiene essere la rappresentazione proprio di questo progetto.
Da entrambe le vedute si evince la preesistenza del basamento affiancato dalle caratteristiche torri a rampa esterna e sormontato, nella prima, da diversi caseggiati rurali, nell'altra, da un edificio di ridotte dimensioni con facciata stilisticamente definibile neoclassica.
Si può supporre pertanto che questa seconda immagine ritragga la fase edilizia immediatamente precedente alla trasformazione neogotica. Altrettanto verosimile è che sia solo un progetto mai attuato.
Il tipo di decorazione della Sala della Musica e lo stesso linguaggio dei trompe-l'oeil, recanti peraltro una quinta a colonne scanalate di un vivace colore turchese che inquadra le vedute principali, sono estremamente più coerenti con un edificio neoclassico piuttosto che neogotico.
Si consideri inoltre che i soggetti delle vedute principali sono costituiti da una sontuosa villa con fronte porticato e pronao circolare, di evidente gusto neoclassico, e dall'Orto Botanico di Palermo, che campeggia sulla parete centrale con probabile funzione di modello.
Il ciclo pittorico, pertanto, si può considerare parte integrante di un progetto neoclassico mai portato a compimento, o forse abbandonato in corso d'opera, e il cui programma iconografico e decorativo venne iniziato già prima che ne venisse trasformato l'esterno.
A riprova di quanto affermato, basti comparare le pitture murali alle tele perchè emerga la identità volumetrica del corpo centrale dell'insediamento rurale con quello altrove raffigurato come casina neoclassica.
Le medesime considerazioni si possono fare per l'esterno: esistono degli elementi decorativi riconducibili al progetto neoclassico, che nei dipinti del castello sono tratteggiati in fase di costruzione. Si guardino ad esempio i piloni con specchiature a rincasso sormontati da vasi di gusto classico che ritroviamo all'inizio del percorso d'accesso e in quello che doveva essere l'ingresso al giardino dalla strada, prima che venisse aperto quello neogotico.
Si notino i fregi a ghirlanda con stemma araldico sui fronti del viale centrale, o l'insegna affiancata da due coppie di leoni accovacciati che sormonta l'attico della stessa casina dipinta: tutti i particolari che rimandano agli elementi decorativi del Casino di Conversazione di Ibla, commissionato anch'esso dagli Arezzo.
A Donnafugata si assiste ad un processo di commistione dei caratteri distintivi dell'architettura vernacolare iblea.
L'edificio principale posto al centro si erge su un basamento, la cui preesistenza al castello è accertata da nuove acquisizioni documentali e dal materiale iconografico di cui disponiamo. Questa peculiarità fa sì che il complesso si ponga al visitatore con la duplice valenza di roccaforte, in posizione dominante rispetto ai declivi del territorio circostante, e di recinto che delimita a scopo difensivo l'intera struttura produttiva.
Emerge infatti dai documenti che in origine gli animali, il tappeto, i magazzini per la conserva del raccolto trovavano alloggio all'interno di questo corpo basamentale che, in seguito alle trasformazioni ottocentesche, verrà privato della funzione produttiva mantenendo esclusivamente quella di servizio agli ambienti residenziali del castello. Vi troveremo infatti la cucina, la dispensa e la cappella, traslata solo in un secondo tempo sul fronte principale, su cui si aprirà con un ingresso autonomo rispetto a quello del cortile interno, in modo da permetterne la fruizione al personale di servizio che alloggiava nella corte e agli abitanti del borgo adiacente.
Si assiste pertanto ad una progressiva trasformazione del complesso da rurale e quindi meramente produttivo, a casina di campagna che mantiene al suo interno parte degli ambienti funzionali, per l'emergere sempre più incisivo dell'istanza di rappresentatività, leggibile, oltre che nella cura del dettaglio decorativo, anche nei progressivi cambiamenti nella destinazione d'uso degli ambienti.
Che il nascere della corte semicircolare antistante il fronte principale del basamento sia dovuto ad un disegno astratto e non ad una naturale trasformazione della facies del complesso per motivi funzionali, è dimostrato dal fatto che il percorso centrale che conduce alla corte è già definito anche quando gli edifici che vi si attestano lo sono ancora solo in parte. Ne troviamo conferma nella prima delle due vedute della Sala della Musica dove compare il medesimo muretto basso che delimita il giardino affiancato da uno solo dei caseggiati rurali. Allo stesso modo, da una tela che si conserva al castello si evince la preesistenza del tracciato dei muri e dei piloni d'accesso.
Questo elemento induce a porre l'attenzione sui possibili modelli iconografici che ci sembrano l'unica spiegazione plausibile a questa rara caratteristica del complesso rispetto alle architetture rurali o alle casine di campagna presenti in area iblea.
La tipologia più diffusa nella zona è come si è detto quella comune a tutto il territorio insulare, cioè la masseria cintata a più corpi edilizi. Per quanto riguarda le ville signorili il modello è quello rinascimentale ad unico blocco d'aspetto compatto e imponente.
In nessuno di questi edifici però è presente il sistema del percorso d'accesso tra i muri che delimitano il giardino e vi aprono quasi un varco che conduce alla corte semicircolare costituita dai corpi bassi. Questa è invece una peculiarità delle ville palermitane del Settecento, che è probabile abbiano costituito un modello di riferimento per il primo progetto neoclassico di Donnafugata.
Gli Arezzo del resto avevano continui contatti con Palermo, infatti oltre a possedervi degli immobili è stata in altre occasioni menzionata la formazione di Corrado presso i Filippini.
Nel progetto neogotico, decisamente più ambizioso, a definire nel complesso la struttura confluisce anche il modello medievale del castello turrito che si staglia cintato a sovrastare il borgo rurale che lo circonda. Ma l'idea di organizzare in piccolo borgo le case sparse che dovevano trovarsi intorno alla casa padronale risale comunque già al progetto neoclassico dell'edificio.
Resta comunque incontrovertibile il fatto che questa tipologia che sintetizza percorso assiale, corte a esedre e struttura a recinto non trova analogie nel diffuso modo di costruire in area iblea.
Non sappiamo quanta parte del progetto neoclassico giunse a compimento, certo è che da una determinata data venne soppiantato dal ben più ambizioso progetto di castello neo-medievale, il cui lungo cantiere dovette occupare alcuni decenni del secolo Ottocento. Protagonista sembra essere una personalità affascinante e colta quale fu Corrado Arezzo, poliedrica figura di uomo politico, imprenditore, militante antiborbonico, poeta, pittore.
In prima istanza, emerge il ritorno del modello abitativo del castello in pieno Ottocento, quando erano venute meno in buona parte del condizioni che dal Medioevo in poi avevano portato alla diffusione di questa tipologia, difensiva per antonomasia.
Si spiegherebbe così l'apparente contraddizione di Donnafugata tra l'aspetto turrito e chiuso e la sostanziale apertura verso il paesaggio. Apparente proprio perchè oramai priva di concreta funzione difensiva.
Edificio-simbolo, quindi, non più del potere feudale ma del potere aristocratico e, non ultimo, del bagaglio letterario del committente, intriso di suggestioni romantiche.
Rivoluzionario e insieme contraddittorio appare il castello ottocentesco, specie se si pensa ai presupposti teorici da cui emerge, quella tabula rasa che negli ultimi decenni del Settecento i filosofi invocavano come condizione originaria della nuova architettura. Un'architettura che avrebbe dovuto rinascere quale unicum inscindibile di funzione e bellezza che non nascondeva anzi si sostanziava di valenze politiche e sociali. Architettura come mezzo e non più fine, manifesto programmatico, prodotto di per sè elitario oltre che destinato ad un elite.
E quale altrimenti l'istanza alla base di una simile scelta da parte di un committente come Corrado Arezzo di chiara fama locale e di esteso potere politico. Quale se non quel coacervo di ostentazione di potere, citazioni colte e sarcastica derisione degli avversari, leggibili tra le scelte architettoniche e i percorsi del parco.
Due sono, pertanto i principali fronti nell'ambito dei quali inquadrare il "caso Donnafugata" nella sua peculiare doppia consistenza di architettura della pietra e architettura del verde. Individuandone i rispettivi riferimenti culturali e gli eventuali modelli iconografici.
Il parco di Donnafugata raccoglie elementi architettonici e decorativi mutuati da vari repertori stilistici: dal neogreco del portico ionico della Coffee-House, addossato ad un finto rudere neoromanico, al neoromano tempietto circolare cupolato soprastante una grotta dai rimandi ancestrali; dalle sfingi neoegizie poste a guardia della scalinata di accesso al castello, alla neogotica cappella immersa nel verde, sino al labirinto, topos letterario ed artistico. Convivono a diretto contatto le passeggiate solitarie e i percorsi corali, la vegetazione utilitaristica locale e quella atta a produrre i "commovimenti" di cui parlava il Silva, in una sorta di "naturalità" artificiale e naturale insieme, orchestrata in percorsi diversificati e armoniosi.
Gli stili del passato giungono al presente ottocentesco come monolitici ed unitari sistemi, non più declinabili intrinsecamente, ma composti in un insieme definitivamente affrancato dal suo contesto storico e manipolato criticamente dall'artista che se ne avvale per comunicare delle "idee" attraverso i più svariati accostamenti. Un grande patrimonio ereditato da cui attingere forme, cui oramai era impossibile disgiungere "significati", da utilizzare per un'architettura nuova e moderna.
In questa peculiare molteplicità di linguaggi, il giardino di Donnafugata si allinea con le tendenze polistilistiche che caratterizzarono prevalentemente i cimiteri ottocenteschi, dove sfingi alate si sposavano ad obelischi e piramidi, così come la statuaria di tipo classico si incontra con il neogotico o il neoromantico delle cappelle gentilizie.
L'accostamento ai cimiteri piuttosto che alle Esposizioni Nazionali e Internazionali, caratterizzate dal medesimo trionfo di linguaggi e forme proprio dell'Eclettismo polistilistico, è dovuto al fatto che non va sottovalutato quel profondo senso della caducità che aleggia tra i filari di cipressi e i cenotafi neoclassici del parco, bene lontano dallo spirito folkloristico ed esotico che accompagnava i vistosi padiglioni delle Esposizioni.
Lo spirito dissacratore, comunque, rende il caso di Donnafugata alquanto raro.
Se da un lato, il modello del giardino paesistico era da tempo una moda, e dall'altro i retaggi della lunga tradizione del giardino formale erano inevitabili, lo spirito ludico, se non addirittura sarcastico, che domina gli accostamenti tra vegetazione, natura, architettura ed effimero è decisamente originale per il modello romantico prescelto dal committente. Si pensi in special modo, alla presenza di una grotta a forma di vagina, ottenuta artificialmente mediante una struttura a conci di calcarenite rivestiti da lastre di concrezioni calcaree di tipo carsico, certamente estratte da grotte naturali. Il risultato è tale da attribuire all'antro un effetto di morbidezza naturale qualsi fosse un tessuto epiteliale. All'interno della grotta in modo inequivocabilmente dissacratorè Arezzo fece collocare per la sorpresa delle signore un automa chinato a defecare palline colorate.
Anche nell'ipotesi che parte fabriques disseminate nel parco siano da considerare un complemento dell'iniziale progetto neoclassico, ugualmente la mano che ne elaborò la successiva integrazione nel più complesso disegno che conosciamo, rivela la conoscenza di una prassi paesaggistica consolidata.
Il castello di Donnafugata, sito in un possedimento di origine feudale, emerge coerente nel rapporto tra il linguaggio neogotico e la memoria feudale del territorio, inserendosi armoniosamente in qualità di architettura medievale per antonomasia.
Va peraltro ricordato che in Val di Noto sono tutt'altro che infrequenti casi di masserie turrite e configurate "a castelletto", anche se di carattere più rurale e meno sontuoso del castello di Donnafugata, ma pur sempre volutamente medievaleggianti.
A Donnafugata la scelta di una quinta-paravento che occulti le dissimetrie, oltre ad essere l'effetto di un'operazione di ricucitura dei diversi nuclei preesistenti, fa emergere con la forza l'istanza romantica su quella della flessibilità distributiva. Peraltro ne è la prova tangibile il destino della suggestiva trifora con cui la prima facies del castello si apriva sul fronte principale. Scelta effettuata sulla scia di vagheggiamenti romantici o di suggestioni letterarie, la cui inefficienza distributiva è dimostrata dalla pronta sostituzione con l'attuale loggia ad archi, meno felicemente ispirata, ma decisamente più funzionale.
Il vero progetto del castello ottocentesco è proprio quello ritratto nella nota cartolina, che rivela un disegno di architettura più consapevole e per il quale la ricerca dei modelli si fa interessante.
Non si può considerare casuale a Donnafugata la scelta del neogotico, in particolare, del neogotico veneziano, considerandone peraltro l'inserimento in una composizione che nel ritmo delle aperture e nei volumi ricorda i "sollazzi" normanni.
Così come non si può ritenere casuale che negli stessi anni Giovanni Battista Basile nel Giardino Inglese di Palermo e nella Villa Pubblica di Caltagirone, se pur nell'ambito di un impianto di base simile e per entrambi riconducibile al modello paesistico inglese, opera una scelta stilistica profondamente diversa per le rispettive fabriques dislocate tra la vegetazione.
A Palermo il giardino sarebbe sorto a caratterizzare un importante nodo di espansione urbana: la Via Libertà era destinata a divenire l'asse residenziale borghese per antonomasia, quindi auspicabile cuore della città non suo margine avulso.
Questo spiegherebbe le scelte iconografiche del Basile che in modo programmatico riunisce modelli italici, come il tempio di Vesta, e riferimenti precisi alla architettura siculo-normanna.
Quasi a dare dignità storica ad un tessuto di nuova espansione, che non disconosceva le origini della città da cui si era generato, e nel contempo dare tangibile riconoscibilità a ruolo sociale del ceto in ascesa cui era destinato.
Al contrario la scelta a Caltagirone del neomoresco, assolutamente avulso da qualsiasi contestualizzazione storico-culturale, se non per vaghi riferimenti alla presenza araba nella zona, va ricondotta piuttosto ad un ambito letterario, svincolato da risvolti sociali. L'area dell'impianto era infatti di espansione territoriale piuttosto che urbana, destinata pertanto a rappresentare un luogo di evasione contemplativa intrisa di suggestioni letterarie, volto all'esclusivo godimento paesaggistico.
E non è quindi un caso che a Donnafugata l'uso dell'evocativo linguaggio neogotico si fonda con la nascita di una serie di leggende mutuate in parte dalla storia locale, come quella del rapimento della regina Bianca di Navarra, e in parte dalle vicende private dello stesso barone, con la fuga d'amore della nipote Clementina con il francese Lestrade, ospite del nonno a Donnafugata. Un caso di invenzione della tradizione, tipico fenomeno ottocentesco, che si accompagna alla nascita di un castello.
Non ultimo va considerato che in tutta Europa il revival gotico si affianca alla ricerca dell'indennità nazionale (si pensi alle lotte degli Arezzo per la supremazia di Ibla) e alle guerre patriottiche e di liberazione (conosciamo l'azione antiborbonica condotta da Corrado anche sulle pagine del giornale satirico palermitano "Il Gatto"). Un binomio per lo più indiscindibile quello di Neomedioevo e politica.
Del resto, il castello di Donnafugata si inquadra in un momento di profondi cambiamenti storico-sociali, quando ci si trovò a dovere affrontare i retaggi di numerosi problemi risolti solo in parte dal governo borbonico.
Nelle città le tematiche urbanistiche erano legate alla necessità di creare quartieri operai a supporto delle zone industriali, zone residenziali, collegamenti tra il centro antico e le zone di nuova espansione, comunicazioni più agevoli.
A Ragusa le vicende postunitarie erano le stesse rispetto al resto d'Italia con la differenza che il quadro politico si caratterizzava per un certo "primitivismo" e per il dominio incontrastato della scena politica da parte della nobiltà o comunque della ricca borghesia.
Non è un caso che l'Arezzo riesca a far deviare verso Donnafugata un tratto della linea ferrata Siracusa-Licata.
Così come non è un caso che si inasprirono le imposte indirette che danneggiavano soprattutto i ceti meno abbienti, mentre si applicarono con moderazione le imposte dirette che gravando sulla proprietà privata avrebbero leso prevalentemente gli interessi dei ceti ricchi. In un ambito in cui le problematiche sociali in tutta Italia erano pressanti, Ragusa mantiene la peculiare lotta intestina tra "sangiorgiari" e "sangiovannari", tra i rappresentanti di Ragusa Superiore, prevalentemente borghesi o comunque aristocratici di recente origine, tra cui emergevano gli Schininà e quelli di Ragusa Ibla o Inferiore, della più antica nobiltà rappresentanti proprio dal barone Corrado Arezzo.
Naturale conseguenza dell'estrazione alto borghese e aristocratica degli esponenti politici fu la scelta di adeguare Ragusa ai canoni di quel decoro cui ogni città doveva uniformarsi, ma puntando, come del resto avvenne anche a Palermo, su strutture ed edifici rappresentativi o comunque autocelebrativi per il ceto dominante.
Se questo avveniva in ambito urbano, a maggior ragione l'istanza di autorappresentatività si faceva più consistente per le abitazioni private, investite del ruolo tangibile manifesto del potere della famiglia.
Vari dovettero essere i fattori condizionanti la brusca virata subita dal progetto nel passaggio da elegante ma sobria casina neoclassica a sontuoso castello. Forse il sempre crescente potere politico di Corrado, o il suo matrimonio e i beni ricevuti in dote o la morte del padre e la sua designazione quale erede universale.
Il fascino di Donnafugata è anche questo: suggerire sempre nuove direzioni di indagine e aprire squarci nel mistero che avvolga la sua storia.
Milena Gentile