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I monumenti del tardo barocco di Ragusa - Il centro storico di Ragusa

Ultima modifica 3 marzo 2018

Tra continuità e innovazione
All'indomani del terribile terremoto del 1693, dopo aver dato degna sepoltura ai morti, recuperato dalle macerie ciò che si poteva ancora recuperare e fatto il conto degli ingenti danni, i cittadini di Ragusa, dovettero decidere in merito alla ricostruzione della città. La storiografia locale riporta che, in quei giorni, si tenne una sorta di Consiglio dei cittadini in cui vennero esaminate tre proposte: la prima prevedeva la ricostruzione delle case nello stesso sito della città distrutta, la seconda prevedeva lo spostamento dell'abitato nella contrada "del Patro", una spianata a poca distanza dall'antico centro, leggermente inclinata e delimitata da due stretti valloni,e la terza infine, prevedeva lo spostamento della città, verso il mare, nella contrada di Cutalia.

Scartata subito quest'ultima, in quanto il sito era considerato troppo lontano, si discusse a lungo, attorno alle altre due ipotesi, senza tuttavia, giungere ad un accordo. Una parte dei cittadini, guidata dal ceto nobiliare, conservatore e legato alla tradizione, decise a ricostruire le proprie case nell'antico sito, mentre un'altra parte, guidata dal ceto borghese ed imprenditoriale, più ardimentoso e proiettato verso lo sviluppo della città, decise di costruirle nel nuovo sito "del Patro".

Il racconto tradizionale, a dire il vero non supportato da alcun riferimento documentario, se da un lato potrebbe essere verosimile, dato che tali assemblee popolari si tennero effettivamente in altri centri, come Giarratana, Avola e la stessa Noto, dall'altro non risulta convincente, a mio parere, per le motivazioni che avrebbero giustificato la decisione di costruire due centri abitati a poca distanza l'uno dall'altro, caso unico in tutto il vasto comprensorio del Val di Noto. 
Una più attenta lettura della situazione sociale della città prima dell'evento sismico, alla luce delle recenti ricerche documentarie, ci mostra che dietro la singolare scelta non ci fù il contrasto tra una nobiltà di stampo feudale, attaccata ai propri privilegi, ed i nuovi ceti imprenditoriali agricoli, i cosiddetti "massari", quasi una borghesia ante litteram, aperta alla novità e fonte di progresso, come ci ha voluto tramandare la storiografia locale, ma ci fu il contrasto tra gruppi di famiglie che da circa un secolo si contendevano la leadership cittadina. Infatti, a partire dalla fine del secolo XVI e poi per tutto il secolo XVII, scomparse o ridimensionate le antiche famiglie di origine feudale normanna o catalana, erano emersi nuovi gruppi familiari che avevano accumulato ingenti patrimoni, grazie all'istituto dell'enfiteusi delle terre del Conte di Modica, e che erano in lotta tra loro per il potere.

Ad agitare le acque, contribuiva il contrasto di preminenze tra le due chiese principali, S. Giorgio, la matrice della città, e S. Giovanni Battista, che vantava anch'essa antichi diritti matriciali. Visto lo stretto legame tra amministrazione civile ed ecclesiastica che vigeva in Sicilia a quel tempo, le preminenze religiose assumevano un elevato valore sociale e potevano essere facilmente strumentalizzate al servizio degli interessi dei gruppi in lotta per il potere cittadino. Ecco che le famiglie costituivano due partiti: i "Georgesi" o "Sangiorgiari" e i "Giovanniti" o "Sangiovannari", che si professavano "affezionati" dell'una o dell'altra chiesa, difendendone gli interessi, veri o presunti, conculcati dalla parte avversa.

Accresceva i problemi il fatto che le due chiese, pur essendo entrambe parrocchie, fin dal 1389, per iniziativa del Vescovo di Siracusa, Tommaso Erbes, erano state unite "aeque principaliter" nella persona di un unico parroco il quale, normalmente, risiedeva nella chiesa madre di San Giorgio per cui veniva accusato dagli amministratori della chiesa di S. Giovanni di lederne i diritti.

Negli anni precedenti al terremoto, il partito "Sangiovannaro" i cui membri avevano avuto un ruolo rilevante nel primo trentennio del secolo XVII, si trovava in una fase discendente ed aveva subito alcune pesanti sconfitte come la breve separazione dalla chiesa S.Giorgio, concessa dalla Santa Sede con la nomina del parroco Ascenzio Gurrieri, ma subito annullata per la decisa opposizione del parroco di S. Giorgio, Giambattista Bernardetto, che non voleva rinunciare a reggere insieme le due parrocchie, e che alcuni anni dopo impose che nella intestazione dei documenti della parrocchia di S. Giovanni si aggiungesse il titolo "subjective" cioè sottomessa alla chiesa madre di S. Giorgio. 
In questo stato di cose, il terremoto e la successiva ricostruzione vennero visti dai "Sangiovannari", come una occasione per conquistare la propria autonomia e poter gestire a modo loro lo spazio urbano e quello economico.

Per questo motivo, pochi giorni dopo il terremoto, trasferirono la sede parrocchiale in una baracca di tavole di legno costruita al centro del "piano del Patro", su un terreno di proprietà dell'Opera pia della "Messa dell'Alba ", antica e ricca opera assistenziale che alla stessa chiesa faceva capo. La determinazione della scelta, che non ammetteva alcun ripensamento è testimoniata dal trasferimento immediato nella nuova sede di tutti gli arredi che si poterono recuperare dalle macerie della chiesa antica, compresa la cinquecentesca statua in pietra di S. Giovanni, al centro della devozione popolare e punto di riferimento per i parrocchiani. 
Attorno alla chiesa, sempre nei terreni della "Messa dell'Alba" e di altre Opere pie come la "Cassa dell'Elemosina", che aveva sede nella chiesa di S. Maria delle Scale, si trasferirono, numerosi parrocchiani che vi costruirono baracche di legno e case in "petra a sicco".

Il nuovo abitato
Nell'estate del 1693, venne a Ragusa il Procuratore generale del Conte di Modica, don Antonio Romeo y Anderas, il quale visitò la città per rendersi conto dei danni del sisma. 
In quell'occasione ricevette la richiesta di edificazione dell'abitato nel "piano del Patro", richiesta che venne subito accolta "riconoscendo il sito assai commodo per la fabbricatione sia per la salubrità dell'aere, come per la pianura di sito, commodità dell'acqua, abbondanza delle pietre ed altre necessarie circostanze per una commoda abbitazione".

Ottenuta l'autorizzazione, cominciò subito l'edificazione di case in muratura, come gli otto corpi di case costruiti per il provicario don Antonino Mazza, nel novembre del 1693, o i due corpi di case costruiti nel gennaio del 1694 per il sac. G. Battista Migliorisi e per Vincenza Mazza Ioppolo.

Nel 1694 veniva dato inizio anche alla costruzione della nuova chiesa di S. Giovanni, alla cui posa della prima pietra, il 13 aprile, presenziavano tutte le piu' alte cariche dell'amministrazione della Contea e lo stesso Procuratore generale il quale, in segno di devozione, poneva nella buca alcune monete d'oro.

Con questa fastosa cerimonia venne dato l'avvio ufficiale alla edificazione del nuovo centro urbano, sviluppatesi secondo un vero e proprio modello urbanistico a maglia ortogonale, già largamente sperimentato nelle nuove città edificate dagli spagnoli in America Latina ed utilizzato nella ricostruzione barocca di molti altri centri siciliani. 
La storiografia locale ne ha attribuito la redazione al barone Mario Leggio, con la collaborazione del dott. Ignazio Garofalo, tuttavia, anche in questo caso, non esiste alcuna conferma documentaria, se si esclude un riferimento in alcune antiche strofette dialettali.

In molti documenti, riguardanti la ricostruzione della città, si fa riferimento, invece, al "disegno del Sig. Procuratore generale" e questo ha fatto pensare ad un vero e proprio progetto urbanistico elaborato o fatto elaborare da Antonio Romeo y Anderas, anche se in realtà non è chiaro se "disegno" sia inteso nel senso di vero e proprio progetto o nel senso di volontà. 
Un bando, emesso il 7 Agosto 1695 dallo stesso procuratore generale, indica le procedure da osservare per la costruzione delle case e viene dato mandato ai Giurati di Ragusa la Nuova di "vigilare alla ristorazione delle fabbriche distrutte dal passato terremoto et all'augmento d'esse" "perchè non portandosi con simmetria le strade pubbliche ne nasce deformità e poco decoro alla città". 
Una suggestiva ipotesi formulata in un recente studio vuole che la pianta della città sia stata redatta secondo precisi moduli proporzionali che si vogliono ricavare dall'antica pianta della chiesa di S. Giovanni Battista, la quale, come si legge in una relazione notarile del 1764, sarebbe poi stata ampliata con l'avanzamento del prospetto di palmi 20. In realtà l'ipotesi risulta assolutamente priva di fondamento dato che la relazione notarile, erroneamente attribuita alla chiesa di S. Giovanni Battista, in realtà si riferisce ad un'altra chiesa, quella di S. Giovanni Evangelista, oggi non piu' esistente.

Il nuovo abitato conobbe comunque un rapido sviluppo, sono numerosissime le nuove case edificate a cui si aggiungono le chiese: della Mercè (1698), di S. Pietro (1698), di S. Giuseppe (1700) e di S. Sebastiano (1703). 
Nel 1702 una relazione spedita dal Commissario del Vicerè ricorda che "nel nuovo sito del Patro in questi anni sono state costruite numerose buone case abitate da circa duemila persone con una pianta ricca di strade larghe e piazze simile a quella di Catania".

Lo sviluppo continuò durante tutto il secolo XVIII ed il successivo XIX, a metà del quale il nuovo abitato aveva una popolazione di trentamila abitanti, seguendo comunque lo stesso schema tracciato alla fine del '600. Un sostanziale cambiamento avvenne nel secondo quarto dell'800 con la costruzione del Ponte Vecchio, ultimato nel 1843 che, superando l'ostacolo naturale della Vallata Santa Domenica, consenti' l'espansione della città verso sud dove si trovavano i giacimenti di asfalto che proprio in quegli anni si cominciavano a sfruttare intensivamente.

Il vecchio abitato
 

La ricostruzione dell'antico abitato procedette con maggiore lentezza anche perchè alcune parti rimasero a lungo inedificate, come lo spazio in cui sorgeva il castello, quello attorno alla vecchia chiesa di S. Giovanni e quello ad est dell'abitato, tra il convento dei Cappuccini, e il convento di S. Maria di Valverde in cui si riedificarono solo le chiese. 
Tra i nuovi edifici ci sono le case di Margherita Lorefice, ricostruite nel febbraio del 1694, nei pressi della Porta di Modica, la nuova chiesa del Convento di S. Maria di Gesù, "demolita e devastata dal terremoto" e la nuova chiesa di S. Giorgio, costruita nell'ottobre dello stesso anno, accanto alle rovine della vecchia chiesa, di cui "rimaneva ancora in piedi la porta maggiore con parte dell'affacciata, le cappelle di S. Giorgio e della Natività e parte del Cappellone". 
Questa nuova chiesa, utilizzata per il culto fino al 1739, venne costruita da un gruppo di "murifabri" di Caltanissetta, Geronimo e Santo Giafrè e Michele Nicolosi, incaricati dai procuratori di S. Giorgio di " construere et edificare unum novum templum intus venerabilem Matricem Ecclesiam Sancti Georgii, demolitam et devastatam ab orribilem terraemotum".

Fu soltanto nella seconda metà del secolo XVIII che avvenne una modifica sostanziale dell'assetto urbano che aveva conservato, pressochè invariato, le stesso impianto di stampo medievale precedente al terremoto. 
Nel 1738, venne decisa la ricostruzione della chiesa di S. Giorgio spostandola in una posizione più centrale rispetto all'abitato, nel luogo occupato dalla chiesa di S. Nicola. Del progetto venne incaricato l'architetto Rosario Gagliardi che realizzò in quell'anno "il disegno della nuova chiesa" di cui il 25 ottobre 1739 viene posta la prima pietra. 
Davanti alla nuova chiesa esisteva un ampio spiazzo in cui, prima del terremoto, sorgevano alcuni palazzi appartenenti a D. Fabio Castellet, al Cavaliere di Malta Fra Francesco Arezzo, al barone Campolo ed al Barone di Furmica, che prospettavano tutti sulla "Cioncata", la strada principale della città medievale. 
Crollati col terremoto, i palazzi non erano stati riedificati perchè le famiglie dei proprietari si erano estinte o non risiedevano più a Ragusa.

Per una serie di complesse vicende ereditarie, nella prima metà del secolo XVIII, tutta la zona era di proprietà del Barone di S. Biagio, don Claudio Arezzo Caggio, il quale aveva costruito il proprio palazzo sulla casa del barone Campolo, primo marito della moglie Aloisia Arezzo, lasciando il resto inedificato. 
Alla sua morte il palazzo e l'area circostante vennero ereditati dai figli Giuseppe, barone di S. Biagio e Domenico, barone di Cardinale. 
Quest'ultimo, nel 1742, durante i lavori per la costruzione della chiesa di S. Giorgio, donò alla chiesa di S. Giorgio un orto ed un cortile posti davanti al suo palazzo e confinanti col "piano del barone di S. Blasi", suo fratello, per "edificarvi il piano della detta chiesa", come veniva chiamato allora il sagrato.

Questo fu il primo nucleo della grande piazza che venne completata negli anni successivi, quando anche il resto del vasto spazio aperto, "per uso del signore di S. Blasi" venne acquisito per uso pubblico. 
Attorno al nuovo spazio urbano, nei primi anni del secolo XIX vennero costruiti o ricostruiti i palazzi di alcune delle famiglie più in vista della città come quelli del duca di S. Filippo, Arezzo Grimaldi, costruito nella prima metà del secolo, sull'antico palazzo del barone di S. Biagio, quello coevo di don Giorgio Arezzi Grimaldi, quello edificato alla fine del '700 dal dott. Salvatore Castro, poi passato, nell'800 alla famiglia Capodicasa ed infine il palazzo del barone Ingrassotta, poi la Rocca, edificato intorno al 1845.

Dall'altro lato della piazza invece furono costruiti il Circolo di Conversazione, nel 1858, seguito dal palazzo del marchese Maggiore di S. Barbara, edificato intorno al 1844, quello di don Domenico Arezzo costruito nel 1816, e poi quelli del Can. Cosentini e di D. Saverio Nicastro edificato agli inizi dell'800. L'ultimo intervento di rilievo avvenne agli inizi del secolo XX con l'apertura della "strada Castello vecchio", oggi via dott. Solarino, che provocò lo sventramento del palazzo del duca di S.Filippo e l'edificazione di tutta l'area in cui insistevano le rovine dell'antico castello su cui sorsero il villino Arezzo ed il grande edificio del Distretto militare.