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Il Castello di Donnafugata - Il Castello incantato

Ultima modifica 10 marzo 2018

Il Castello incantato
Intanto la memoria. Correvamo lungo i viali del giardino, incuriositi dai giochi d'acqua, e alla ricerca delle invenzioni grottesche delle quali tante volte ci avevano raccontato.Nel ricordo tornano le immagini del monaco destinato a spaventarti, salendo il vecchio gradino malandato, dietro l'improvvisa apertura del portone; oppure quelle delle stalattiti e delle stalagmiti di sughero, millantatori speleologi dentro la grotta falsa, anch'essa inserita nel mosaico delle pantomime di un fantasioso castellano. E poi ci perdevamo dentro il labirinto, gridando la falsa paura per un'impossibile uscita alla luce e alla vita: a volte - è sempre il ricordo a giocare le sue carte - se eravamo in compagnia dell'amica del cuore, ci capitava di sperarlo di restare intrappolati, chiusi tra un angolo e l'altro degli alti muri, e cacciati via come topi in trappola contro l'angolo del fondo di bottiglia, un atteso e ricercato "cul de sac". 
Nella memoria dell'infanzia, quando - prima che il castello diventasse di pubblica fruizione - una catena di agganci e di amicizie ci faceva ottenere il permesso per una visita, per una domenica diversa. E nello stemmato cortile, davanti alla scala imperiale e possente, ci perdevamo, correndo, in rumorosi rimpiattini che lo stato di ospiti privilegiati rendeva possibili (anche se certo non meno fastidiosi per gli abitanti del castello). E quando stanchi, un angolo del cortile ci accoglieva sudati, cominciava il gioco degli indovinelli, lo scambio inesistente degli scioglilingua, oppure il divertimento dell'immaginazione per sognare la vita che il castello aveva ospitato nei secoli passati, le grandi feste, le dame eleganti, i cavalieri, che si trascinavano "l'armi, gli amori" che qualcuno più grande, sorvegliante tra il cerbero e l'accomodante, si dilettava a citare con un pizzico di ostentata cultura da orecchiante. Ma erano le immagini dei cani e dei gatti che si rincorrevano tra le basole e si nascondevano dietro gli orci, o dentro i magazzini, a coinvolgerci ancora di più. E Il castello di Donnafugata, così nella memoria di una infanzia ormai lontana, non esibiva architettura o arredamenti, lussi o ricchezze, quanto piuttosto le tradizionali scontate abitudini della vita di campagna (e c'era in ognuno di noi ancora intatto allora, gli annì 50, il gusto della villeggiatura), come amplificate pero' dagli spazi enormi di un luogo monumentale. Sulla sera, quando il tramonto dietro le fronde dei carrubeti intorno, lasciava spazio al buio ed ad un cielo stellato ( "il cielo stellato sopra di noi" di Kant), allora restava solo da scoprire le mani delle donne che lavoravano i ricami e che creavano gli sfilati, mentre da un altro angolo del cortile arrivava fumante l'odore della minestra e magico il profumo di insalate trionfanti di pomodoro e sedano. 
Solo più tardi avrei scoperto la valenza architettonica del castello, del maniero voluto da Corrado Arezzo, senatore del Regno, e poi ulteriormente ampliato dai Lestrade, quando l'acquisizione al patrimonio comunale del castello e del parco e l'avvio di una lenta ma febbrile azione di recupero e di restauro, oggi felicemente portata ai primi visibili traguardi, ne ha fatto non solo un monumento presente nel territorio, nella bella campagna iblea, ma anche un'attrattiva turistica sulla quale puntare per lo sviluppo e la crescita della economia provinciale. 
Caratterizzato da un'architettura insolita, esempio affascinante di un mirabile eclettismo, risultato della successione e della sovrapposizione di interventi voluti dai diversi proprietari, ma certamente non estraneo al gusto dello stesso Corrado Arezzo, con la sua voracità culturale e la sua variegata poliedricità d'interessi, ma anche ricco di particolari preziosi, destinati ad affiancare ampi spazi luminosi a tutto un gioco interno di ambienti incastonati l'uno nell'altro in un mosaico di tessere, il castello di Donnafugata è esempio emblematico di quella attenzione delle famiglie aristocratiche siciliane per la casa di campagna, sorta di elegante dimora del proprietario per molti mesi dell'anno, ma anche luogo deputato per sorvegliare e verificare l'andamento agricolo del latifondo.

Dentro il castello, Corrado Arezzo coniugò tutte le sue passioni: così il giardino doveva essere la sintesi delle sue conoscenze botaniche, ma anche l'occasione per dare spazio al gusto delle sue fantasie, recuperate anche nell'arredamento e nell'oggettistica delle sale interne, oggi in gran parte restituite alla loro dignità ed alla fruibilità del visitatore; nella stanza della musica si esprimevano le sue ambizioni di musicista, mentre le velleità e le aspirazioni artistiche si rivelavano nei quadri dedicati ai diversi momenti della edificazione del castello ed il gusto letterario, che meriterebbe ben altra attenzione, era sintetizzato certamente nei volumi della sua biblioteca, non certo estranei alla sua dignitosa produzione poetica e letteraria.
E poi la identificazione forte tra il luogo e l'uomo. In questo caso Corrado Arezzo, figlio di Francesco Maria, nato a Ragusa Ibla nel 1824, uomo di grande prestigio che seppe interpretare in modo esaltante il ruolo che la società e la storia gli assegnavano: politico, poeta, letterato, collezionista d'arte, imprenditore coraggioso e creativo (oggi si direbbe "attento all'innovazione"), conservatore ma anche affascinato dal gusto satirico della contestazione, informato sulle vicende del suo tempo ed attento alle trasformazioni della società e dell'economia. Ma Donnafugata è anche un luogo illuminato dalle leggende. Ne avranno conversato le signore e i signori, nei salotti del castello, in quell'amabile gioco ad incastro del "si dice" che ancora resta un gioioso passatempo di certi ambienti sociali (tanto da diventare, complice ancora il barone Corrado Arezzo, addirittura toponimo identificativo del magico "Circolo di Conversazione" a Ragusa Ibla): allora via, in successione, il richiamo all'arabo "ain as iafaiat ", che sta per "fonte della salute", etimo convincente di Donnafugata, nel ricordo di una sorgente, giu' verso la vallata, prezioso scrigno di ricchezza (l'acqua è oro in questa terra arsa dal sole) e luogo destinato istintivamente a farsi paradiso; oppure le leggende (ma perchè non pensare anche ad una possibile cronaca di un "gossip" d'epoca) delle "donne messe in fuga", per così dire "fugate", si potesse trattare di Bianca di Navarra inseguita dal Conte di Cabrera, in un lontano XV secolo, oppure molto tempo dopo, di Clementina Paternò, nipote del Senatore Corrado Arezzo, perchè figlia della figlia Vincenza, che - come lascia credere il passaparola - scappò dal castello verso l'attuale Punta Secca, in una romantica e sofferta fuga d'amore con Gaetano Combes de Lestrade. 
Ma bisogna anche rinunciare all'idea che la Donnafugata iblea sia quella richiamata da Giuseppe Tornasi di Lampedusa nel suo "II Gattopardo" e proposta come residenza dei Principi di Salina: quella Donnafugata si riferisce ad una tenuta della famiglia Tornasi, nella zona di Palma di Montechiaro. 
Però, come accade nel gioco degli incastri delle coincidenze e della storia, come trascurare che i Tornasi erano famiglia di Ragusa, che da Ibla si erano spostati nell'Agrigentino per fondare Palma portando con loro lo scienziato Giambattista Hodierna, del quale furono generosi e preziosi mecenati?

C'è poi la leggenda di quelle frequentazioni di Luchino Visconti, a colloquio con il custode, intento a raccogliere suggestioni e profumi di questo luogo, per ambientare la sequenze del proprio film "II Gattopardo" ricavato dal romanzo di Tornasi di Lampedusa. 
E così Donnafugata, la nostra Donnafugata, entra indirettamente, attraverso una aneddotica credibile, nel cinema e nelle sue insostituibili fantasie. Presenza non episodica se si pensa all'incanto del piano-sequenza della facciata del castello, attraversata dal cavallo bianco di un imponente Garibaldi, in un prezioso momento del film dei Taviani" Kaos".

Ma nel cinema il castello è anche l'ambiente per i film musicali ricavate dalle opere liriche, girati da Frank de Quelle, oppure l'ambiente intatto della narrazione onirica di Giuseppe Tornatore nel suo "L'uomo delle stelle", per poi diventare (ed è cronaca televisiva recente) la residenza aristocratica del boss mafioso in un episodio della serie del Commissario Montalbano, ricavata da Alberto Sironi dai romanzi di Andrea Camilleri. 
Ma resta nel ricordo decisamente magica anche la lettura cinematografica del poemetto "La morte di Empedocle "da Holderlin, girato nel parco di Donnafugata, tra un capitello ed una siepe, da Jean Marie Straub e Daniele Huillet.

E infine intorno c'è il paesaggio, questo gioco elegante dei carrubeti che macchiano di verde intenso le stoppie bruciate dei campi, dopo l'aratura, mentre le antiche case di campagna si affiancano alle masserie, in quel percorso di edilizia rurale e di scorci naturali che è la sintesi descrittiva, in appena un fazzoletto di territorio, di un angolo di Sicilia assolutamente unico per equilibrio e geometria.

Poesia dell'anima e della memoria: per una volta, un castello che incanta invece del favolistico castello incantato. E allora, prima durante e dopo la visita del luogo, le immagini di Giuseppe Leone: nel suo bianco e nero la insistenza del tempo, nelle fotografie a colori il compendio di un recupero decisamente riuscito. Perchè la storia, la nostra storia di piccoli uomini del terzo millennio, è anche questo e non va dimenticato.

    

Carmelo Arezzo